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Quando al Mondiale chi entra Papa ne esce cardinale...

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Oleg_Vlasov
view post Posted on 18/6/2010, 23:25 by: Oleg_Vlasov
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Riflettevo sul fatto che da quando seguo il calcio (e sicuramente è accaduto anche prima) ad ogni mondiale ci siano calciatori o nazionali regolarmente osannate dalla stampa e dagli addetti ai lavori o comunque annunciate da attese epiche che molto spesso deludono oltre ogni previsione, mancando l’appuntamento più importante, non solo con gli “almanacchi”, ma con la storia.



Qualche esempio che ho individuato negli anni:
Italia ’90: L’Olanda di Van Basten, Gullit ecc.
Quell’Olanda veniva da un biennio fantastico, iniziato con la storica vittoria agli Europei del 1988 in Germania e proseguito con i successi nei club del leggendario trio orange del Milan: i paragoni con la Grande Olanda di Cruyff si sprecavano e la squadra poteva disporre anche di una generazione di calciatori carismatici e vincenti come Koeman, Wouters, Van Breukelen ecc.
Van Basten aveva disputato una stagione straordinaria ed era atteso come sicuro capocannoniere e neanche i problemi fisici di Gullit, reduce da un lungo infortunio, sembravano mettere ostacoli alla corazzata olandese, che aveva chiuso le qualificazioni al 1’ posto davanti alla Germania Ovest….invece quel mondiale fu il più brutto mai disputato dai tulipani, che non riuscirono a vincere neanche una partita e passarono il girone per differenza reti sull’Egitto dopo tre squallidi pareggi. Agli ottavi si trovarono di nuovo di fronte i tedeschi di Matthaeus, che li eliminarono in una partita nervosissima, con lo sputo di Rijkaard a Voeller a sintetizzare il fallimento del loro sogno mondiale.

Usa ’94: La Colombia mancata rivelazione
La Colombia che si affacciava ai mondiali americani fu una di quelle tipiche squadre talmente annunciate come sicure rivelazioni del torneo al punto che quasi si era spento l’”effetto sorpresa” da quanto fossero alte le aspettative nei loro confronti. I colombiani si erano qualificati a USA ’94 dopo una cavalcata trionfale nel girone sudamericano, sigillata da uno storico trionfo per 5-0 in casa dell’Argentina a Buenos Aires che aveva scioccato il mondo. Il CT Maturana era visto come un nuovo santone del calcio, il gioco si annunciava offensivo e spettacolare, dal capitano-icona Valderrama fino al bomber del Parma Faustino Asprilla che in quel periodo era considerato uno dei più grandi attaccanti del mondo. Tutto lasciava pensare che la Colombia avrebbe recitato un ruolo di protagonista assoluta, visto anche il girone sulla carta “abbordabile”: invece la spedizione americana fu un fiasco colossale, con conseguenze persino drammatiche.
A Los Angeles il tandem rumeno Hagi-Raducioiu distrusse i colombiani con un secco 3-1, ma fu la successiva partita contro gli USA a suggellare la disfatta che causerà la tragedia: un goffo autogol di Andres Escobar darà il via alla vittoria degli americani e all’eliminazione matematica della Colombia, che tornerà a casa in un clima di pesantissima contestazione culminata con l’uccisione dello sfortunato difensore da parte della malavita legata al calcio-scommesse.

Francia ’98: L’Inghilterra di Shearer
Erano molti i motivi per cui l’Inghilterra si presentava in Francia con legittime ambizioni alla vittoria. Infatti i leoni che il CT Glenn Hoddle aveva preso in eredità da Venables mai come stavolta sembravano avere assunto una mentalità “vincente”: gli europei del ’96 disputati brillantemente in casa avevano ridato alla nazione entusiasmo per il calcio dopo la mancata qualificazione a USA ’94 e oltre a una inedita compattezza e solidità in tutti i reparti gli inglesi potevano contare in un mix tra esperienza (Ince, Tony Adams, Seaman), gioventù emergente (i “Fergie’s Boys” dello United, McManaman, il 18enne Michael Owen) e soprattutto in colui che ai tempi rivaleggiava con Ronaldo e Batistuta per il trono di “miglior attaccante del mondo”, Alan Shearer, che con Teddy Sheringham aveva formato una coppia efficacissima e letale. Shearer due anni prima aveva vinto il titolo di capocannoniere agli Europei arrivando a un passo dal Pallone d’Oro, e nonostante un brutto infortunio era chiamato a trascinare la nazionale a una vittoria che sembrava davvero essere a portata di mano.
Infatti l’Inghilterra nelle qualificazioni, malgrado una sconfitta nello scontro diretto, mise sotto l’Italia di Cesare Maldini costringendola agli spareggi, e nel frattempo riuscì anche a vincere il Torneo di Francia del ‘97, sorta di gironcino amichevole pre-mondiale con Brasile, Italia e Francia…in Gran Bretagna poi ci fu una grande “strumentalizzazione” da parte del New Labour di Tony Blair, appena eletto alle politiche, che calcò molto sul ruolo della brillante nazionale di Hoddle per lanciare il suo progetto di “Cool Britannia”. Ma le cose andarono diversamente.
L’Inghilterra non riesce a primeggiare nel girone a causa della sconfitta cruciale contro la Romania e si vede abbinata alla temibile Argentina agli ottavi di finale in quella che sarà una battaglia campale: malgrado il bellissimo gol di Owen, autentica sorpresa e una delle poche note positive del mondiale inglese, i leoni saranno fatti fuori ai calci di rigore tra mille polemiche, principalmente concentrate sull’espulsione di Beckham per un fallo di reazione su Simeone, che costrinse la squadra a giocare 70 minuti in inferiorità numerica. Becks sarà massacrato dall’opinione pubblica come capro espiatorio per l’eliminazione e gli ci vorranno tre anni per riabilitarsi agli occhi degli inglesi. Hoddle invece verrà licenziato dalla FA per alcune allucinanti uscite sui portatori di handicap.


Corea-Giappone 2002: La Francia di Zidane
La nazionale francese tra la fine degli anni ’90 e gli inizi dello scorso decennio aveva preso il dominio del calcio internazionale a suon di vittorie e un calcio spumeggiante, guidata da una generazione di fuoriclasse probabilmente irripetibile da Thuram, Desailly, Deschamps, Trezeguet, Henry, Petit, Vieira, Makelele, che nel giro di tre anni vinse tutto quello che poteva vincere, mondiale ed europeo. Inutile dire che la stella assoluta fosse Zinedine Zidane, reduce da un’annata trionfale nel Real Madrid conclusasi con la vittoria della Champions League, conquistata con un suo incredibile gol all’incrocio contro il Bayer Leverkusen. La Francia, campione uscente, sembrava inarrestabile, una macchina con il pilota automatico indifferente a cambi di CT e che era considerata ancora la squadra da battere. Ma il flop dei mondiali nippo-coreani fu sconvolgente da quanto irrimediabilmente meritato e senza appello. Credo che mai un crollo del genere fu così clamoroso nella storia del calcio: dopo un esordio-shock contro il Senegal, nazionale composta per lo più da giocatori del Lens, i transalpini vengono fermati dall’Uruguay in uno scialbo 0-0 e si ritrovano all’ultima giornata costretti a stravincere contro la Danimarca. Ma arriverà un’altra sconfitta, nettissima, con Tomasson a mandare in frantumi quella che sembrava una squadra invincibile. Zero vittorie, zero gol, i detentori eliminati al 1’ turno. Un fallimento che sarà parzialmente riscattato dai blues quattro anni dopo in Germania, dove rispunteranno l’orgoglio e la classe di Zidane capace di portare in finale una nazionale meno forte di quella del 2002 praticamente da solo.


Germania 2006: Il Brasile Joga Bonito
Il Brasile del 2006 fu una delle squadre più osannate e celebrate dei mondiali ancora prima che venisse dato il fischio d’inizio: certi media addirittura paventavano che fosse quasi inutile giocare il torneo, vista l’assoluta supremazia dei verdeoro, che si presentavano in Germania con altissime credenziali come forse solo la funambolica selecao del 1982.
Parreira poteva contare su un reparto offensivo potenzialmente esplosivo ed estremamente creativo, con l’”obbligo” di giocare un calcio che fosse allo stesso tempo convincente e divertente, e che puntava come uomo-immagine in Ronaldinho, chiamato ad essere per quei mondiali quello che altri fuoriclasse come Pelè, Maradona, Cruyff, Ronaldo e Zidane furono in passato. Se si pensa che oltre al fantasista del Barcellona i verdeoro sfoggiavano giocatori come Kakà, Adriano e Roberto Carlos, oltre allo stesso Ronaldo (pur se in opaca) fase di carriera gli entusiasmi erano anche piuttosto condivisibili. Ma quel Brasile fu sopraffatto da tutto quello che lo circondava al di fuori della sfera calcistica, tra discutibili spot, allenamenti all’acqua di rose, storie di escort che saltavano da un letto all’altro in ritiro, superficialità nel curare la forma fisica di alcuni giocatori (Ronaldo e Adriano su tutti, arrivati oggettivamente appesantiti alla kermesse mondiale) e nonostante un girone vinto senza difficoltà, la squadra non “girava” come promesso, Parreira pasticciava con il modulo, e di Ronaldinho si persero le tracce. Alla fine invece fu Kakà a prendere le redini di ciò che restava di una squadra poco compatta e male allenata: ma non bastò ad evitare l’eliminazione ai quarti arrivata con un grossolano errore di Roberto Carlos che favorì il gol di Henry. Per molti giocatori quella fu la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, più pragmatico e misurato, che ha subito riportato successi e soddisfazioni, anche se in un modo meno “brasiliano”. Per Ronaldinho una grande occasione mancata, che forse rimarrà l’ultima, a meno che non riesca a ripercorrere le orme di Cafù, che il giorno dopo l’eliminazione a 38 anni dichiarò di voler giocare ancora un altro mondiale.
 
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