In nottata, a mezzanotte, la Russia debutterà in Brasile contro la sempre ostica Corea del Sud. Sono anni, 12 per la precisione, che aspetto questo momento. Tutto cominciò il 14 giugno del 2002. Quel giorno, in Giappone, si giocò Belgio-Russia. Io avevo 11 anni, proprio in quel periodo stavo dando gli esami di quinta elementare, ma ero già focalizzato sui Mondiali, ai quali davo la mia prioprità. Proprio in quel periodo cominciai a prendere in simpatia la Russia, sia per ragioni extrasportive (come argomento per quegli esami di terza media portai proprio la Rivoluzione Russa) sia per motivi calcistici (apprezzavo molto la classe di Titov e dell'infortunato Mostovoi, avevo seguito con interesse Khokhlov nella sua esperienza alla Real Sociedad e mi avevano impressionato giovanissime promesse come Izmailov e Sychev). Ma la definitiva scintilla scattò quel giorno. Alla nazionale russa sarebbe bastato un pari per raggiungere gli Ottavi di Finale; il Belgio invece doveva vincere a tutti i costi. Ovviamente i russi si suicidarono, persero meritatamente per 3-2, disputando la solita gara priva di carattere e di personalità (la prima di una lunga serie della mia carriera da tifoso: non ci avevo ancora fatto l'abitudine). Fu un'eliminazione inaspettata, dai risvolti drammatici se è vero che diverse persone si suicidarono a Mosca. Eppure, mi convinsi che qualcosa stesse comunque nascendo, che si poteva risorgere da quel fallimento. Soprattutto perché erano riusciti a mettersi in mostra diversi giovani talenti russi, che lasciavano ben presagire in ottica futura. Un ricambio generazionale - che coinvolgeva come protagonisti addirittura degli under-20 - era già in atto. La foto che qui ho condiviso, finii in prima pagina su "Sport-Express" - il più popolare quotidiano sportivo russo - il giorno dopo la disfatta: l'ottimistico titolo era "Finché i giovani piangono, c'è speranza". Bellissimo. Un inno alla vita. I giovani in questione erano Dmitry Sychev, una delle rivelazioni di quel Mondiale, in estate poi cercato da Milan e Real Madrid (inutile dire che non abbia rispettato neanche lontanamente le attese), e Alexander Kerzhakov, un giovanotto di 19 anni che militava in un club semisconosciuto di una città però nota a chiunque: lo Zenit San Pietroburgo.
Già, Kerzhakov. In quella maledetta gara entrò in campo all'82', facendo in tempo a servire a Sychev l'assist per il gol del 3-2 della speranza, al primo pallone toccato. Poi, nel recupero, vanificò di testa l'ultima opportunità russa. Il suo ingresso in campo fu come una folgorazione per il sottoscritto. Mi rivedevo, anche esteticamente, in quel'attaccante sbarbatello. Cominciai quindi a interessarmi a lui, a seguirlo, per conoscerlo meglio. Divenne fin da subito il mio idolo incontrastato, il mio giocatore preferito. Se ho iniziato a seguire il calcio russo lo devo a lui. Tutto nacque così. Non è un racconto particolarmente affascinante o appassionante, me ne rendo conto, ma è la cruda realtà dei fatti.
Da allora sono passati 12 anni. Il solo punto di contatto con quel passato ormai remoto rimane proprio lui, Kerzhakov, l'unico reduce da quella esperienza nipponica, nel frattempo diventato il miglior realizzatore nella storia del calcio russo. Dopo 12 lunghissimi, fottuti anni ho finalmente la possibilità di ammirare la Russia in una Coppa del Mondo: ce n'è voluto di tempo, sono dovuto passare da cocenti delusioni come le mancate qualificazioni ai Mondiali del 2006 e del 2010, subendo derisioni, umiliazioni e quant'altro. Ma anche togliendomi qualche piccola soddisfazione, indubbiamente, come all'Europeo del 2008 (o, a livello di club, con i trionfi in Coppa UEFA di CSKA e Zenit). Più volte sono stato sul punto di perdere del tutto la speranza, di ammettere che avevo fallito appassionandomi a un movimento in cui intravedevo grandi potenzialità ma che ogni volta, puntualmente, deludeva sul più bello, ripetendo gli stessi identici errori. Eppure sono ancora qua, più appassionato di prima. Certamente cresciuto, più smaliziato e realista, ben conscio degli atavici difetti russi so bene che è inutile farsi delle illusioni. 12 anni dopo siamo rimasti solo noi due, io e Kerzhakov. E' un cerchio che si chiude. Con il finale ancora tutto da scrivere.